“Attends”: la morte vista da chi resta nella pièce di Jan Fabre

Al Teatro Comunale di Ferrara il 13 e 14 dicembre

09 dicembre 2018

Tre anni fa ha tenuto i suoi performer in scena e il pubblico inchiodato alle poltrone dell’Argentina di Roma per ben ventiquattro ore, concedendo loro solo qualche pausa per dormire, anzi, per sognare, tutti insieme e senza allontanarsi mai da teatro. Con il suo monumentale Mount Olympus, dedicato al culto della tragedia greca, vincitore del Premio Ubu 2016 per il migliore spettacolo straniero presentato in Italia, Jan Fabre voleva sfidare la soglia della stanchezza, fino al punto in cui le maschere intellettuali che regolano la vita cadono, ed emergono reazioni più pure e più vere, in chi fa e in chi guarda. Da più di quarant’anni l’artista belga, regista, coreografo, scenografo, performer e artista visivo, classe 1958, lavora proprio sulla soglia tra mondi, dimensioni e percezioni, muovendosi tra mondi interiori e biologia, tra i milioni di insetti che popolano i suoi dipinti e le sculture, il blu dei suoi disegni a biro, e i corpi straordinariamente espressivi del suo teatro.

La solitudine dell’artista visivo si trasforma in ricerca di comunione e incontro quando si muove sulle assi del palcoscenico, e infatti Fabre è noto per l’intenso rapporto creativo che lo lega ai suoi attori. Se ne avrà un saggio il 13 e 14 dicembre alle 21, al Teatro Comunale di Ferrara, grazie ad Attends, attends, attends… (pour mon père), un’opera nata dal confronto del regista con un suo performer storico, Cédric Charron, a cui l’opera stessa è ispirata. In scena il performer, completamente solo, come un moderno Caronte vestito di rosso e immerso nella nebbia, dà vita a un dialogo immaginario con il padre morto, mentre lo accompagna nell’ultima traversata, remando con il suo bastone in un altrettanto immaginario fiume Stige, in un commovente rito funebre in cui canta, con la danza e con le parole, il distacco lancinante o forse l’inconsolabile ricerca di una persona che non c’è più. “Aspetta, aspetta, aspetta” chiede il figlio, parlando con il padre del senso del tempo: lineare e compiuto per l’uno, imperscrutabile e troppo breve per l’altro. Uno ha già vissuto tutto ed esaurito la propria parabola, l’altro ha una vita davanti e rivendica del tempo in più, per conoscere ancora, sbagliare ancora, ritrovarsi ancora, forse proprio con suo padre, assecondando i propri istinti e i propri sentimenti.

Nella pièce firmata da Fabre, il teatro e la danza diventano occasione per affrontare in tutta la sua complessità e irriducibilità il mistero della perdita e della morte, come testamento di una relazione mai paga, che lascia sempre, inevitabilmente, qualcosa ancora da fare, da dire, da scoprire, da riparare, di un desiderio inesaudibile di rimandare, di guadagnare tempo, di aspettare all’infinito un esito per il quale chi rimane non si sente mai pronto. Anche di questo Cédric Charron parlerà in un incontro con il pubblico condotto da Carmelo Zapparata, in programma al termine dello spettacolo del 13. Lo stesso giorno, alle 18, nel Ridotto del teatro, sarà proiettato invece Jan Fabre. Beyond the artist, film documentario del 2015 scritto e diretto da Giulio Boato, che ne introdurrà la visione. E per chi parte da Bologna BlaubArt – Dance webzine organizza un servizio bus a/r (per info e prenotazioni info.danceontheroad@gmail.com).

 

 

Video

Jan Fabre. Beyond the artist