“Copenaghen”, ovvero i dilemmi etici della scienza

Orsini, Popolizio e Lojodice in scena a Modena e a Correggio  

19 febbraio 2018

Copenaghen del drammaturgo britannico Michael Frayn è un testo cult complesso e affascinante che s’interroga sui limiti etici della scienza. Il dramma, debuttato a Londra nel 1998, è rimasto in scena per più di mille repliche e poi, nel 2000, portato a Broadway, ha vinto il Tony Award come miglior spettacolo. Da allora continua a essere riproposto pressoché ininterrottamente, in vari luoghi e con diverse regie.

La versione prodotta dalla Compagnia Umberto Orsini e Teatro di Roma – Teatro Nazionale in coproduzione con il CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia è nata a Udine nel 1999, è stata rimessa in scena con Ert a varie riprese, riscuotendo sempre un ampio successo di pubblico e di critica, e oggi viene riproposta ricostruendo una scenografia ormai perduta e ricalcando la regia di Mauro Avogadro. In tournée nazionale, il dramma va in scena al Teatro Storchi di Modena, venerdì 23 (alle 21.00) e sabato 24 febbraio (alle 20.00), e al Teatro Asioli di Correggio, giovedì 8 e venerdì 9 marzo (alle 21.00).

Come suggerisce il titolo, la vicenda è ambientata a Copenaghen. Siamo nel 1941, in una Danimarca invasa dalla Germania. Il fulcro della pièce è lo storico incontro, realmente avvenuto, tra due premi Nobel annoverati tra i più importanti esponenti della fisica quantistica: il danese Niels Bohr e il suo allievo più brillante e amato, il tedesco Werner Karl Heisenberg. I due erano legati da una profonda amicizia, nonostante le diverse scelte di vita e di ricerca scientifica e  nonostante  Bohr fosse per metà ebreo e schierato con gli alleati e Heisenberg, pur non essendo nazista, fosse a capo del programma nucleare militare tedesco. Il contenuto di quella loro conversazione ancora oggi resta un mistero, che numerosi storici hanno tentato di chiarire restando però alle ipotesi perché le versioni dei diretti protagonisti non hanno mai coinciso. E ai due differenti scenari dei loro “ricordi” se ne aggiunge un terzo, quella della moglie di Bohr, Margrethe, presente all’incontro (che si svolgeva nella casa della coppia). L’unica cosa certa è che quell’incontro incrinò il loro rapporto. E, poiché entrambi erano coinvolti, su fronti opposti, nella ricerca scientifica che avrebbe influito (anche loro malgrado) sulle sorti del mondo – ricerca legata alla costruzione della bomba atomica e portata avanti in una condizione di profonda incertezza culturale e sociale che rende le scelte etiche spaventosamente complesse – quella conversazione mantiene intatta la sua grande attualità, assieme alla portata universale delle sue tematiche.

L’efficacia del testo di Frayn – che intreccia storia, supposizione e immaginazione – oltre che nelle tematiche affrontate consiste nella costruzione drammaturgica: un incontro/scontro post-mortem tra i due luminari, spiriti ancora dominati da un indistruttibile desiderio di conoscenza, che nel limbo discutono sull’argomento della fusione nucleare, sulle sue pericolose applicazioni pratiche e sui relativi dilemmi morali. A questo si aggiunge il tocco geniale di un parallelismo tracciato tra il principio fisico di indeterminazione applicato agli oggetti (scoperto proprio da Heisenberg) e l’indeterminatezza (e l’imprevedibilità) del comportamento umano, che ci ricorda come ogni evento contenga in sé molteplici versioni, ciascuna delle quali rappresenta una sfaccettatura della verità e pone a fianco delle ragioni storico/politiche quelle psicologiche e personali. “Come particelle dell’atomo che si incontrano e si scontrano – spiega Mauro Avogadro – i tre personaggi al centro dell’opera cercano di dare un senso alle azioni della loro vita, vittime anch’esse di quel nucleo finale di indeterminazione che sta nel cuore delle cose”.

Il complesso congegno drammaturgico viene messo in moto da tre attori di grande spessore, che offrono altrettante interpretazioni definite dalla critica “assolutamente perfette”: Giulia Lojodice nel ruolo di Margrethe Bohr (che all’inizio della pièce pone la domanda attorno alla quale è costruito l’intero intreccio narrativo:”Perché Heisenberg si è recato a Copenhagen?”), Umberto Orsini nei panni del fisico danese (che in seguito si trasferirà in Inghilterra e poi negli Stati Uniti per prendere parte al “progetto Manhattan”, volto alla realizzazione delle bombe atomiche poi sganciate su Hiroshima e Nagasaki) e Massimo Popolizio nel ruolo del fisico tedesco.

La scena, di Giacomo Andrico, evoca un’aula universitaria, con le sue gigantesche lavagne nere riempite di formule fisiche. Le luci sono di Giancarlo Salvatori, i costumi di Gabriele Mayer, le musiche di Andrea Liberovici. La traduzione del testo di Frayn è stata curata da Filippo Ottoni e Maria Teresa Petruzzi.