La buona educazione della Piccola Compagnia Dammacco

Il 16 gennaio a Rubiera e il 19 gennaio a San Lazzaro

15 gennaio 2019

C’era una volta la buona educazione. Benché tra genitori e figli di ogni tempo non siano mai mancati dissidi generazionali, l’educazione è sempre stato un valore di per sé e la responsabilità della trasmissione di principi, morali o sociali che fossero, una chiara prerogrativa degli adulti nei confronti dei più giovani. Cosa ne è di tale certezza, nel pieno di una crisi di senso e di valori senza precedenti? È la domanda da cui nasce il nuovo spettacolo scritto e diretto da Mariano Dammacco, prodotto da Piccola Compagnia Dammacco e Teatro di Dioniso, ultimo atto della Trilogia della Fine del Mondo ideata dalla giovane compagnia che dal 2009 esplora temi dell’esistenza contemporanea attraverso un linguaggio che mescola poesia e ironia, grottesco e surreale. Lo si vedrà in scena il 16 gennaio alle 21, al Teatro Herberia di Rubiera, nella stagione da La Corte Ospitale e il 19 gennaio sempre alle 21 all’ITC Teatro di San Lazzaro, dove la replica sarà preceduta, alle 19.30,  dal consueto aperitivo con il critico sul Teatrobus del Teatro dell’Argine, condotto da Rossella Menna.

Dopo aver raccontato l’impossibilità, la fatica, di diventare adulti nell’Inferno e la Fanciulla, e la condizione di un uomo che ha perso il lavoro in Esilio, con La buona educazione il tandem formato dal drammaturgo e regista Dammacco e dall’attrice Serena Balivo, Premio Ubu 2017 come migliore attrice under 35, si confronta ancora con una drammaturgia originale, con un teatro che colloca al centro l’attore e a parola, in perenne equilibrio tra pathos e divertimento, in uno spazio scenico altrettanto originale ideato dallo stesso regista insieme alla scenografa e disegnatrice Stella Monesi.

“Quali sono i valori, i contenuti, le idee che oggi vengono trasmessi da un essere umano all’altro? Quali sono gli attori di questa trasmissione di contenuti? A cosa servono questi contenuti, questi valori, queste idee? A cosa ci preparano?” A porre questi interrogativi la vicenda, raccontata da una Balivo monologante, di una donna che pur avendo scelto di non voler avere marito e figli si ritrova “malgré soi” a confrontarsi con un compito inaspettato: prendersi cura di un giovane essere umano, un nipote, ultimo erede della sua stirpe, a causa della morte dei genitori. Deve ospitarlo nella sua vita, nella sua casa, nella sua mente, deve educarlo, progettare il suo futuro, aiutarlo a crescere. Tra continui fallimenti e inaspettate gioie quotidiane, la donna scoprirà quanto è difficile avere una relazione con un altro da sé che non risponde come ci si aspetterebbe, ma soprattutto quanto sia faticoso oggi coltivare certezze su cosa significhi educare, perché più di ogni altra cosa è complicato mettere a fuoco un senso, un sistema di valori stabile e concreto in cui avere fiducia, sulla base del quale educare, incoraggiare, ispirare qualcun altro.