La mia battaglia. Elio Germano a teatro per denunciare i populismi

Dal 5 al 10 marzo a Casalecchio di Reno, Roccabianca, Correggio e Forlì

05 marzo 2019

Organizzare la società secondo un modello di democrazia perfetta che garantisca benessere, concordia, solidarietà e giustizia non è cosa scontata. Non a caso l’occidente, procedendo per errori e correzioni, scatti in avanti e stalli, ci lavora da oltre due millenni. Se non un valore la complessità è sicuramente un dato di fatto, che i populismi tendono a eludere nel discorso pubblico e ancora di più nella propaganda. Come smascherare semplicismi e mistificazioni? È quello che prova a fare, sulle assi di legno dei palcoscenici di tutta Italia, Elio Germano, protagonista indiscusso del cinema italiano, raro esempio di artista amato tanto dal grande pubblico che dalla critica di settore, già premiato a Cannes come pure, e più volte, ai David di Donatello.

L’interprete, che non ha mai fatto mistero del suo impegno politico e sociale, riapproda ora al teatro con uno spettacolo scritto insieme a Chiara Lagani, fondatrice e co-direttrice di Fanny & Alexander, che proprio alla struttura dei ‘discorsi’ politici hanno dedicato un lungo progetto qualche anno fa. Il lavoro co-firmato con Elio Germano invita infatti il pubblico a riflettere sul linguaggio della politica e sulle sue trappole, con una feroce narrazione che rimanda apertamente agli spettri che puntualmente si annidano nelle falle della democrazia. La mia battaglia, come appunto s’intitola lo spettacolo in questione, va in scena al Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno il 5 e 6 marzo, il 7 al Teatro Arena del Sole di Roccabianca, l’8 e 9 marzo al Teatro Bonifazio Asioli di Correggio e il 10 al Diego Fabbri di Forlì.

Ad aggirarsi, tra platea e palco, solo lui, conduttore di uno show, un gioco inquietante che interroga intimamente il pubblico sul proprio posizionamento e la fallibilità del proprio giudizio. Cosa succederebbe se il teatro fosse una nave alla deriva e gli spettatori si ritrovassero nella condizione di naufraghi su un’isola deserta? Lo spettacolo muove da questa domanda che pone la questione, eternamente attuale, e ancora più bruciante in tempi di agonia, del come si possa riorganizzare al meglio la vita pubblica, i rapporti sociali ed economici, la sopravvivenza di tutti, verso un’agognata felicità collettiva.

Entrando dall’ingresso del teatro, l’attore, nei panni di un comico-ipnotizzatore, s’intratterrà amichevolmente con il pubblico, per condurre la riflessione intorno alle possibili soluzioni da adottare, prevedendo e solleticando reazioni e istinti più banali e semplicistici dei presenti, ovvero manipolandone l’atteggiamento e i pensieri, in un crescendo di autocompiacimento generale. Ma il passaggio dall’essere ‘uno di loro’ all’autoritarismo più sfrenato, avallato da un entusiasmo cieco degli spettatori-cittadini, si rivelerà essere molto breve. Rivendicando la legittima posizione di portavoce di un volere collettivo l’artista diventerà sempre più autoritario, evocando lo spettro di un estremismo travestito da buon senso. Nell’appellarsi alla necessità di resuscitare una società agonizzante, tra istanze che ricalcano molto apertamente quelle che sentiamo quotidianamente rimbalzare tra talks e social networks, il nuovo ‘leader’ trascinerà gli spettatori in una sospensione finale tragica, una distopia sulfurea e grottesca collocata poco lontano dall’oggi, nel tempo e nello spazio.