L’Invettiva inopportuna di Laminarie

Dal 26 ottobre al 7 novembre a DOM la cupola del Pilastro

25 ottobre 2021

Un uomo solo che cerca di districarsi dalla complessa struttura di carrucole e corde in cui è intrappolato. È l’immagine centrale dell’Invettiva inopportuna di Febo Del Zozzo, una nuova produzione con la drammaturgia di Bruna Gambarelli, un testo poetico inedito dello scrittore Matteo Marchesini e la collaborazione di Matteo Braschi, Riccardo Uguzzoni, Perla Degli Esposti e Marcella Loconte.
Prodotto da Laminarie e coprodotto da ERT Fondazione, lo spettacolo sarà in scena a DOM la cupola del Pilastro il 26, 28 e 30 ottobre e il 3, 5 e 7 novembre.

Un po’ installazione, un po’ invettiva vera, lo spettacolo consegna al pubblico un pensiero sulla funzione dell’arte, intesa come dono complesso e improduttivo, come mistero non riducibile alla funzione consolatoria che troppo spesso le viene attribuita. E lo fa attraverso un linguaggio che rinuncia ai fronzoli e cerca la sua potenza originaria fatta di corpo, parola, presenza. Come segnala nel catalogo lo studioso Giancarlo Gaeta, nel lavoro non c’è nessuna “atmosfera dell’Io”: “niente autocompiacimento per la propria ferita; ma neppure l’arte per l’arte, ovvero il mutismo al posto del deliquio. C’è piuttosto l’esigenza di rompere l’isolamento o l’indifferenza. Il richiamo a figure emblematiche del passato recente serve a comprendere la situazione attuale per aprirla al confronto con la propria angoscia, senza fare sconti sul prezzo della fatica a parlare a sé stessi e riconoscersi comunità in atto”.

Il perfomer, in piedi, cerca di leggere con estrema fatica quello che c’è scritto su un foglio consunto e tenta più volte, inutilmente, di liberarsi dal reticolo che lo intrappola. “Lotta contro il mondo che lo ospita – suggeriscono le note di scena – il mondo che lui stesso ha costruito con gli strumenti del teatro. I suoi gesti provocano suoni netti, a volte assordanti, a volte assonanti. Sono suoni precisi ma non sempre governabili. L’installazione teatrale appare come un unico grande corpo sonoro, in cui le corde, il corpo dell’attore e lo spazio vibrano all’unisono. L’uomo, muovendosi da un punto all’altro sulla scena, tira, sfila, strattona le corde fino a fare crollare la grandiosa costruzione”.