Sguardi sul dolore del ricordo. La vita ferma di Lucia Calamaro

Al Teatro degli Atti di Rimini, il 18 gennaio

09 gennaio 2018

Lucia Calamaro, pluripremiata drammaturga e regista, torna con “La vita ferma” sul tema della morte, e questa volta lo fa partendo dalla memoria di chi vive, dal nesso sfilacciato e fragilissimo che unisce ciò che un essere umano è stato e ciò che rimane dei suoi frammenti di vita in chi gli sopravvive. Come suggerisce anche il sottotitolo, “sguardi sul dolore del ricordo”, non si tratta di uno spettacolo sulla morte ma di un “dramma del pensiero in tre atti”,  uno scavo interiore e una riflessione sul rammendo emotivo che l’elaborazione del lutto e il ricordo dei morti impone.

Prodotta da Sardegna Teatro e Teatro Stabile dell’Umbria e debuttata in estate dell’anno scorso, questo mese la pièce approda al Teatro degli Atti di Rimini il 18 gennaio, per aprire al pubblico, come scrive la Calamaro, “uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque, padre, madre, figlia, attraverso l’incidente e la perdita”.

I tre personaggi sono interpretati da Riccardo Goretti, Alice Redini e Simona Senzacqua e costituiscono un triangolare lessico familiare sapientemente orchestrato nell’affrontare domande ataviche senza perdere leggerezza, in un balletto continuo tra il dentro e il fuori, tra il tempo presente e quello passato, il tempo del ricordo. Ma lo spettacolo fa emergere anche un quarto personaggio: la scrittura di Lucia Calamaro, che oltre a dirigere lo spettacolo è anche l’autrice del testo. Le sue tessiture verbali sorreggono tutta l’impalcatura teatrale con la loro forza espressiva, incanalata in diversi registri che vanno dall’ironico al drammatico, dal grottesco al surreale, attraverso passaggi che porteranno i tre protagonisti a interrogarsi – e a interrogare il pubblico – su cosa voglia dire la gestione interiore dei morti. E non manca, in questo, una critica alla società di oggi, che non parla dei morti, che non frequenta i cimiteri, che sta crescendo figli allenati all’oblio, che trasforma la morte stessa, o perlomeno ci prova, in un evento controllabile e posticipabile, evitando l’interiorizzazione della morte e concentrandosi sul culto del corpo, considerato e trattato come l’unico contenitore significativo della nostra esistenza.

Così, il campo d’indagine privato della Calamaro si collega ai concetti universali, ai laboriosi nodi interiori senza tempo, alle faticose esplorazioni dell’assenza che da sempre fanno parte dell’umano, ogniqualvolta la morte ferma le lancette del tempo e la vita va in stallo, tutta concentrata sull’assenza o assorbita dalla dimensione del ricordo. Con i contributi pitturali di Marina Haas, Lucia Calamaro ha curato anche le scene ed i costumi dello spettacolo, dove spiccano le suggestive e inquietanti silhouette cartonate di plurimi colori, quasi dei totem del ricordo, o il suo contraltare: il rifiuto del suo lento e inesorabile scolorire nel tempo.

La pièce ha una durata complessiva di quasi due ore e mezzo (50 minuti il primo atto, 60 il secondo, 35 il terzo) e lo stesso andamento ossessivo e simile ad uno sberleffo amaro di Thomas Bernhard che la Calamaro cita esplicitamente nelle note di regia, pronta come lui a mutare lo sguardo sul mondo in una pietà smisurata.