Teatro e filosofia. Una serata con Mk e Ronchi

Il 25 gennaio a Forlì

23 gennaio 2020

È un dittico insolito quello che il 25 gennaio vedrà avvicendarsi sul palco del Teatro Félix Guattari di Forlì una delle compagnie più irriverenti e radicali della nostra danza, ovvero MK, e un filosofo italiano amatissimo anche dai non addetti ai lavori, ovvero Rocco Ronchi. A immaginarlo, d’altronde è stato Masque Teatro (alla direzione artistica della stagione) che del rapporto tra filosofia e teatro ha fatto una bandiera della propria poetica. Tra i due appuntamenti tuttavia non c’è dialogo diretto, se non in termini di intelligenza e sensibilità.

Si parte alle 21 con Giuda, coreografato da Michele Di Stefano, fresco di Premio Ubu per Bermudas Forever, votato come miglior spettacolo di danza italiano dell’anno. Originariamente commissionato nel 2010 per l’attore Giovanni Franzoni da Antonio Latella, Giuda è stato riallestito nel 2014 all’ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry per Biagio Caravano, performer storico di tutti gli spettacoli di MK. Sotto le luci di Roberto Cafaggini sarà appunto Caravano a raccontare l’angosciante condizione di una figura colta nell’attesa del ripetersi di un qualcosa che è già accaduto, destinata a ripetere in eterno la propria esperienza di tradimento. Attraverso l’ascolto di un paesaggio sonoro in cuffia (la musica e l’audio sono di Lorenzo Bianchi Hoesch) il pubblico è testimone di una lotta contro il tempo, quel tempo che ha in serbo per il protagonista un percorso già scritto, vissuto in un silenzio assoluto.

Alle 21.45 la parola passa invece a Rocco Ronchi, ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di L’Aquila e autore di opere fondamentali come Gilles Deleuze (Feltrinelli 2015) e Il canone minore. Verso una filosofia della natura (Feltrinelli 2017). Su palco del Guattari il filosofo parlerà del Comico in Brecht, ovvero di come il teatro epico di Brecht, a cui Ronchi ha dedicato studi originali e preziosi, consideri il divertire, l’inquietare e il pensare come uno stesso atto, riscattando così il ‘piacevole’ dalla maledizione lanciata su di esso dal modernismo.